Un vicino impugna un permesso di costruire in sanatoria rilasciato per la demolizione e ricostruzione di un edificio con interventi di efficientamento energetico. Il TAR Salerno, però, ha dichiarato inammissibile il ricorso: non basta essere confinanti, serve anche dimostrare un vantaggio concreto che deriverebbe dall’annullamento del titolo edilizio. Una sentenza importante che chiarisce quando si può davvero contestare l’edilizia del vicino.
Con sentenza n. 2291/2023, il T.A.R. Campania – Salerno (Sez. II) ha affrontato significativi profili, sia processuali che sostanziali, legati al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per lavori eseguiti in parziale difformità rispetto al titolo edilizio originario. I lavori riguardavano la demolizione e ricostruzione di un fabbricato con interventi finalizzati all’efficientamento energetico.
La controversia ha avuto ad oggetto il provvedimento con cui il Comune ha sanato una leggera sopraelevazione dell’immobile, ritenendola conforme all’art. 14, comma 6, del D.lgs. 4 luglio 2014, n. 102 (ormai abrogato ma applicabile ratione temporis). Tale norma consentiva di non computare alcune limitate altezze derivanti da “extraspessori” strutturali ai fini del rispetto dei parametri e delle distanze urbanistiche.
Il ricorrente, proprietario confinante, ha impugnato il provvedimento abilitativo postumo, sostenendo la violazione delle distanze legali tra il proprio fabbricato e quello del vicino.
Nel definire il giudizio, il Tribunale amministrativo regionale ha accolto un’eccezione preliminare, dichiarando inammissibile il ricorso per difetto delle condizioni dell’azione. Pur riconoscendo la legittimazione ad agire del ricorrente, fondata sulla vicinitas, il TAR ha ritenuto assente l’interesse ad agire, elemento che – come precisato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22 del 9 dicembre 2021 – è configurabile, in caso di contestazione delle distanze, solo se dall’annullamento del titolo edilizio derivi «un effetto di ripristino concretamente utile per il ricorrente, e non meramente emulativo».
Nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ritenuto che la lieve differenza di altezza tra l’edificio assentito e quello effettivamente realizzato non producesse un pregiudizio tale da giustificare l’interesse concreto e attuale alla rimozione dell’atto impugnato.